Sommario
1.
Tempo disponibile
2. Bisogni e dinamismi
3. L'animazione
4. Aree di lavoro per l'animazione
5. Animazione e valori
6. Il ruolo dell'animatore
1.
Tempo disponibile e tempo libero
Con
il termine di tempo libero si intende normalmente quella parte della
giornata non occupata da attività di lavoro o di studio,
nè dalla soddisfazione di necessità fisiologiche.
Togliendo le otto ore di lavoro-studio, e le circa dieci richieste
dalle attività fisiologiche, ne restano dunque sei per ogni
giorno feriale, oltre ai weekends ed alle vacanze.
In realtà questo conto è errato, perchè non
tiene conto dei problemi organizzativi della società moderna,
nè deiproblemi psicologici e culturali dell'uomo.
Dalle ore disponibili vanno infatti sottratti i tempi di trasferimento
dalla residenza al lavoro o alla scuola; i tempi devoluti alle esigenze
burocratiche (pratiche per pensioni, documenti, tasse, certificati,
procedure bancarie, contenzioso, iscrizioni, ecc); i tempi di organizzazione
familiare (come la cura della prole e degli anziani, gli acquisti
domestici e le pulizie, la manutenzione della casa, ecc.); i tempi
esigiti da situazioni speciali come la malattia, il servizio militare
o la gravidanza, le elezioni politiche ed amministrative, le testimonianze
in Tribunale, ecc.
Insomma l'area di effettiva disponibilità del tempo si riduce
ancora ed in proporzione alle condizioni sociali, familiari ed economiche
degli individui.
C'è un abisso fra la porzione di tempo disponibile per un
giovane scapolo, agiato ed urbanizzato, e per una donna di mezz'età,
con sei figli, abitante in campagna.
Per passare da concetto di tempo disponibile a quello di tempo libero
occorre anche richiamare riflessioni di rodine psicologico e culturale.
E' da considerare libero il tempo speso davanti al televisore? allo
stadio? nello shopping?
Se per libertà intendiamo una scelta autonoma fra possibilità
plirime, una scelta tesa a soddisfare i reali bisogni dell'uomo,
scopriamo che molti modi d'uso del tempo nons ono liberi. Essi sottostanno
a vincoli di ordine strutturale, psicologico e culturale. Per esempio,
non è libera la scelta del televisore in quei quartieri che
sono privi di qualsiasi struttura e attrezzatura per il tempo libero.
Non è libera la scelta dello shopping in una società
che sottolinea di continuo l'equazione fra essere ed avere. In altre
parole, possiamo parlare di tempo libero se e quando esistano alternative
reali da scegliere e quando la scelta sia ispirata a bisogni reali
invece che indotti. In ogni caso si tratta semmai di tempo occupato
e di tempo da liberare, cioè di tempo da rendere davvero
libero, mediante la pluralità delle scelte e l'autonomia
psicologica e culturale.
Negli anni '50 è stato diffuso il grande mito del tempo libero
come spazio di realizzazione individuale, alternativa alla ineluttabile
alienazione del lavoro. La concezione del lavoro come pena consentiva
anzitutto di prevenire lotte migliorative circa la produzione; in
secondo luogo, apriva le porte al nuovo smisurato mercato del tempo
libero inteso come premio e compensazione. Gli hobbies, il weekend,
i consumi sono il compenso che il sistema produttivo offre in cambio
di un lavoro alienato. Il sistema produttivo, che si autodefinisce
scientifico e oggettivo, offre una libertà in aree coatte,
negli spazi extralavoro. Il lavoro moderno non è libero,
creativo, umano, ma offre un salario che permette il godimento di
questi bisogni superiori, durante il tempo a disposizione. Inoltre
il sistema organizza una vera industria (forse la più forte
in questi anni) che facilita il godimento del tempo libero. L'individuo
viene incanalato nel doppio ruolo di produttore-consumatore, unico
connotato socialmente riconosciuto della sua esistenza.
Naturalmente questa scissione fra lavoro-pena e tempo libero-libertà
era una finzione e tale si è dimostrata. L'uomo non è
divisibile: se rinuncia alla sua libertà nel momento del
lavoro, la perde anche nel cosiddetto tempo libero. Anzi, l'alienazione
accumulata sul lavoro si assomma a quella del tempo a disposizione,
e quest'ultima rinforza la prima in una spirale perversa, nella
quale televisione e catena di montaggio sono due facce della stessa
medaglia. A partire dal '68 diventa chiaro che la liberazione dell'uomo
è un cuntinuum senza limiti: dal lavoro, alla famiglia, al
tempo disponibile. Negli anni '50 e '60 era diffuso il modello del
sindacalista, ruggente in fabbrica e televisvo a casa. Ora per fortuna
si parla di nuova organizzazione del lavoro e di qualità
della vita. La dicotomia fondamentale non sta dunque fra tempo di
lavoro e tempo libero, ma fra tempo condizionato dal modo di produrre,
dalle strutture, dai modelli, e tempo liberato, cioè speso
per reali bisogni individuali e collettivi. Fra tempo dell'uomo
asservito, eterodiretto, e tempo dell'uomo libero, autonomo.
Per tempo libero intendiamo dunque un tempo sutoregolato ed autodeterminato,
speso alla ricerca dei propri bisogni ed alla loro soddisfazione.
Ogni attività che sembra lavorativa può essere libera
e viceversa; ci può essere un lavoro libero ed un tempo libero
necessitato. Il carattere di libertà viene dato dalla pluralità
effettiva delle scelte e dal rapporto coi bisogni reali.
A questo punto non possiamo eludere gli interrogativi su quali siano
questi bisogni, a quali dinamismi rispondano, che deve scoprirli.
2.
Bisogni e dinamismi
Il
dibattito su questo argomento è molto vivo, e le risposte
sono numerose. A. Maslow elenca cinque bisogni fondamentali: primari
o fisiologici, di sicurezza, di autonomia e di autorealizzazione.
Questi bisogni sono connaturati in noi, sempre presenti; tuttavia
sono percepiti secondo una scala di urgenza. Non basta mangiare
a sazietà una volta al mese per soddisfare questo bisogno,
che si ripresenta ogni giorno. Inoltre i bisogni "superiori"
(psicologici e intellettivi) diventano coscienti solo quando sono
in certa misura soddisfatti quelli fisiologici.
La società industriale ha operato nel senso di ampliare a
dismisura i bisogni fisiologici e di sicurezza, in modo da soffocare
l'emersione dei bisogni superiori.
La nostra società è terrorizzata dalla possibilità
della morte: una morte che può venire dalla scarsità,
dalla malattia, dal nemico. Perciò continuiamo a produrre
oggetti, organizzazioni sanitarie ed armi. L'uomo occidentale è
così occupato ad esorcizzare la morte attraberso la produzione
ed il consumo, la progressiva medicalizzazione, le armi cosiddette
difensive, da non rendersi conto che proprio questi rimedi accelerano
la morte. Nel presente, con la soppressione dei bisogni superiori,
nel futuro, con la probabile distruzione planetaria. L'uomo plurale
si riduce così ad un soggetto consumatore-produttore, medico-farmacologizzato,
armato di pistola personale: con quale tempo libero?
Resta da speigare quali siano stati i meccanismi attraverso i quali
si sia resa possibile questa riduzione dell'uomo. Weber ha trovato
l'origine di questo precesso nell'etica protestante; Marx nella
base capitalistica della società; Fromm nel possesso; Freud
nel meccanismo di sublimazione; Marcuse nella repressione. Probabilmente
tutte queste cause sono reali e compresenti, unitamente a molte
aggiungete da altri autori. Io vorrei sottolinearne alcune.
2.1.
Il privilegio del valore quantità rispetto al valore qualità
Questa
classificazione del valore, che vede prevalere la quantità
sulla qualità, è all'origine di numerose conseguenze.
Il valore di qualità (bello, buono, felice, ecc.) è
compiuto, definito, precisato, in un oggetto, in un fatto, in una
persona. Non è possibile fare scale di bellezza e bontà
o felicità; non si può dire se un tramonto è
più o meno bello di una statua o di un bambino. La qualità
è un valore personale, incommerciale. La quantità
invece è un valore elastico (dal più al meno), infinito,
impersonale, ripetibile e commerciale. C'è sempre qualcosa
di più grande, più ricco, più numeroso, ecc.:
la quantità è infinita.
Il privilegio della quantità porta quindi ad un senso di
perenne incompiutezza ed anche ad investimento totale in essa; a
valutare le cose e i fatti non in termini di "cosa" o
"come", ma di "quanto"; a considerare più
importante il prodotto invece che il processo o il metodo; a valutare
l'efficienza produttiva molto più importante dei suoi obiettivi.
Possiamo infatti vedere come non ci sia limite ai consumi materiali,
perchè ciò che conta è la loro quantità.
Non importa cosa uno faccia, ma quanto guadagna. Per un artigiano
non è più importante come si possa fare meglio un
prodotto, ma quanti in più se ne possano realizzare. A scuola
si fa molta più attenzione al numero di pagine lette o scritte,
che al modo con cui sono state insegnate ed assimilate. Fra gli
operatori sociali, il fare, il produrre, offuscano ogni giorno i
motivi, gli scopi di questa efficienza.
2.2
La seconda operazione che ha reso possibile la riduzione dell'uomo
a produttore-consumatore è l'identificazione con i miti proposti
dai mass media.
La loro esistenza anzitutto ha contribuito alla falsa coscienza,
per cui a tutti è possibile tutto. Tutti possono diventare
Presidente degli Stati Uniti, Rivera, Celentano, Lauda, Thoeni,
Agnelli.
Non riuscirci è solo colpa personale. Tuttavia l'uomo-massa
ad una dimensione, pur non essendo come i suoi miti, può:
1) consumare oggetti simili a quelli che anche i miti possiedono
(il gommone al posto del cabinato, la finta Vuitton, lo stesso Carter);
2) soddisfare per identificazione i propri bisogni, cioè
godere delle soddisfazioni dei miti come se fossero le proprie (una
volta Soraya, oggi Travolta). I miti divukgano modelli di comportamento
e consumo, e fungono da ideale surrogato alle soddisfazioni superiori
negate. L'esistenza dei miti che realizzano le proprie motivazioni,
i propri bisogni e desideri, consnete all'uomo medio di rinunciare
ai propri e di godere per identificazione con l'eroe. Oltretutto
questo processo è vissuto come oggettivo ed ineluttabile,
perciò produce anche un senso di colpa per le inadeguatezze
dell'uomo medio. In tal modo il cerchio si chiude inesorabilmente:
l'uomo rinuncia a realizzare i propri bisogni e si colpevolizza
della propria impotenza.
2.3
Un altro meccanismo importante è la deviazione dell'aggresività.
L'uomo nasce con un bagaglio di bisogni l'energia adeguata per realizzarli.
Poichè in realtà egli viene compresso nei bisogni
inferiori, c'è da chiedersi cosa succede all'energia non
investita per l'ottenimento dei bisogni superiori. Semplicemente
essa viene spostata sui falsi obiettivi. L'esistenza di un nemico
è un trucco sicuro per spostare l'energia dell'uomo: il capitalismo
o i comunisti, gli ebrei o i negri, i meridionali o le BR, i cinesi
o gli intellettuali. Qualcosa non va in un qualche sistema? Onde
evitare che le energie vengano canalizzate verso il cambiamento
del sistema stesso, occorre identificare un nemico, allestire un'accusa,
preparare un'adeguata difesa, combatterlo, distruggerlo. Tutte attività
che richiedono energie sottratte ai veri bisogni. Oppure l'energia,
l'aggressività viene permessa in territori circoscritti:
per esempio, nell'attività venatoria, o negli sports, o nella
distruzione degli oggetti aquistati. Il surplus di energia viene
deviato su obiettivi che nobn sono reali bisogni dell'uomo. Quantificazione,
identificazione e deviazione sono solo tre fra i processi che hanno
ridotto la libertà dell'uomo.
3.
L'animazione
Quali
siano le origini dell'animazione è difficile dire con certezza.
Qualcuno si richiama alla maieutica di Socrate. Altri affermano
che animare è "dare anima". In molti casi viene
confusa con un'attività di direzione, con la terapia, con
l'educazione, con l'informazione con l'assistenza. Secondo me, l'animazione
agisce in uno specifico che la differenzia da tutte le altre pratiche
sociali. Essa si propone di far prendere coscienza e far sviluppare
le potenzialità latenti, represse o rimosse di un individuo,
di un gruppo o di una comunità. In altre parole, possimao
dire che essa si propone di far passare allo stadio di coscienza
la inconsapevolezza e la falsa coscienza.
L'animazione
si differenzia dalla direzione, in quanto non dà risposte
o soluzioni, non pretende e non giudica, non valuta, non premia
e non punisce. Essa si distingue dalla terapia perchè non
agisce sulla sofferenza, ma semmai la previene. Non si sovrappone
all'informazione, nella misura in cui agisce sulla sfera emotiva,
oltre che su quella razionale. Non è l'assistenza perchè
si prefigge l'emancipazione invece che l'aiuto. Infine non è
l'educazione, perchè l'animazione è la parte iniziale,
l'avvio del processo educativo.
Abbiamo già detto come un individuo rimuova o venga represso
in una parte dei suoi bisogni e delle sue potenzialità. Questi
processi rimoti o repressi sono una dimensione del potenziale e
del possibile; diminuzione che ben presto è dimenticata attraverso
l'alienazione e la falsa coscienza. Gl individui cioè non
solo vedono morire parti del loro potenziale, ma evitano di accorgersene
oppure giustificano questo processo come giusto, oggettivo e inevitabile.
Essi non sono più padroni di se stessi, ma alieni. Al posto
del sè represso o rimosso, mettono maschere, stereotipi,
pregiudizi, e difese. Nel momento in cui l'indivisuo rinuncia ad
una parte di sè, del suo potenziale e del suo possibile,
fa una scelta per la stasi e la conservazione; si appiattisce nel
presente, rifiutando la possibilità del cambiamento; si ripete
sempre uguale.
L'uomo che consuma cose diversissime, compie in realtà sempre
la stessa operazione: consumare. Insomma con la riduzione delle
possibilità, l'uomo si invischia nella ripetizione di se
stesso, in una sorta di coazione a ripete, che non è altro
che il circolo vizioso della morte. se questo discorso riguarda
l'individuo, tocca negli stessi termini anche ilpiccolo gruppo e
la comunità.
Naturalmente non si sottointende qui la eliminazione della ripetizione,
cioè della morte; nè si propone l'individuo onnipotente,
che si concede tutto il possibile e sviluppa tutto il potenziale,
senza scelte, rinunce o repressioni. La morte di parte del nostro
potenziale è la condizione necessaria perchè viva
l'altra parte; la ripetizione di una parte di noi consente ad un'altra
parte di rinnovarsi continuamente. Il problema è vedere se
questo processo sia libero e cosciente; cioè in che misura
l'individuo scelga la parte di sè cui deve rinunciare ed
in che misura è consapevole di questo. Quanto pesa nella
scelta la forza del sistema, in senso strutturale, psicologico e
culturale?
L'animazione
è una pratica sociale che aiuta l'uomo a scegliere coscientemente
ciò che vuole essere e far. Per passare dal circolo vizioso
della morte al circolo virtuoso della vita gli individui devono
anzitutto prendere coscienza della situazione in sui si trovano
e del loro potenziale inutilizzato; poi devono decidere se rinunciare
alpossibile o progettarlo; infine devono raccogliere le loro forze
e le loro speranza, se hanno deciso di realizzare questo possibile.
Specifico
dell'animazione è il processo: presa di coscienza - decisione
- progettazione - speranza. L'animazione è una pratica sociale
che si propone lo sviluppo, cioè il cambiamento di individui,
gruppi e comunità, Quando non si tratta di potenzialità
rimosse o represse, ma solo latenti, come nei bambini, l'animazione
gioca un ruolo di palesamento e di ricerca, cerca di evitare uno
sviluppo monodirezionale, cerca di sviluppare tutte le risorse e
tutti i bisogni che il bambio ha in sè latenti. Insisto sull'animazione
come azione di messa in luce, di scavo, perchè credo che
essa debba prima di tutto togliere invece che aggiungere. Togliere
la falsa coscienza, le difese, i pregiudizi, le maschere è
la condizione per dare la speranza e il progetto di cambiamento.
Da quanto detto, deriva che l'animazione è anche un lavoro
di differenziazione e moltiplicazione. L'individuo monodirezionale,
viene aiutato dall'animazione a prendere contatto con il suo sè
represso, rimosso o latente; con la sua diversità ed il suo
essere plurale. Si moltiplica ciò che era uno. In tal senso
possiamo dire che l'animazione è la pratica del conflitto,
del dissenso, del pensiero divergente, della pluralità. Essa
infatti è una pratica che tende a disoccultare e slatentizzare
la diversità; a differenziare e moltiplicare il possibile;
a mettere l'ambiguità e la contraddizione laddove esiste
certezza ed unicità; a riscoprire l'Es dove c'è l'Io.
L'animazione insomma si propone anzitutto il confondere e il mettere
in crisi: non per ridurre e diminuire, ma per nascere e sviluppare
il possibile.
Partendo da queste definizioni di animazione, vediamo come essa
abbia a che fare con ogni ambito della vita: dalla fabbrica alla
famiglia, dalla scuola al tempo libero. Vedremo più avanti
per quali motivi è nel tempo libero che esistono maggiori
possibilità di manovra da parte dell'animazione.
4.
Aree di lavoro per l'animazione
L'animazione
potrebbe occuparsi a buon diritto di quasi tutti gli aspetti dell'uomo:
dall'intelletto alla società, dalla manualità alla
religiosità.
In realtà sono storicamente prevalsi quattro aspetti dell'uomo
privilegiati dalla animazione: la fisicità, la socialità,
la espressività e la creatività. Forse questi quattro
sono prevalsi in quanto maggiromente dicrepanti con la logica del
sistema dominante, e dunque maggiromente repressi o rimossi.
4.1
Per fisicità intendo il binomio corpo-natura, due grandi
vittime delle nostra organizzazione sociale. Corpo e natura non
producono (salvo eccezioni), quindi vanno dimenticati, se non addirittura
oltraggiati. Hanno a che fare con valori etici ed estetici, cioè
con la qualità; in più sono portatori di bisogni incongrui
col binomio produzione e consumo. Per questo la fisicità
è stata repressa e rimossa a lungo. Il sistema produttivo
sta ora riscoprendola non com bisogno dell'uomo o valore, ma come
industria. Ecco che sorge l'indistria antinquinamento, quella dei
cosmetici, del turismo preconfezionato, dell'alimentazione naturale.
Così l'uomo può riavere queti valori sotto forma di
consumi. L'animazione si pone invece l'obiettivo di far riappropriare
gli individui di questi valori, che sono dell'uomo in quando attore
e possessore del corpo e della natura, non solo consumare. Ecco
allora la proliferazione di numerose piste per l'animazione: nel
settore corporeo ed in quello ambientale.
Nel settore corporeo si comprende tutto ciò che riguarda
le potenzialità fisiche del soggetto (ginnastica, danza,
sport, joga, ecc.); la coscienza sanitaria (alimentazione e medicina
alternative); l'educazione sessuale. Nel settore ambientale rientrano
attività ecologiche, escursionistiche, urbanistiche, archeologiche:
cioè tutte quelle attività che si propongono di far
rispoprire al'ambiente riconsegnandolo all'uomo. Le attività
robisoniane si propongono di far scoprire ai bambini la possibilità
di impadronirsi dell'ambiente naturale, modellandolo secondo esigenze
reali, senza travolgerne l'equlibrio.
4.2
Per socialità intendiamo i rapproti umani, le relazioni interpersonali
e di gruppo. Se c'è un'area che il nostro sistema produttivo
ha sacrificato, è proprio questa. Individualismo, competitività
e efficientismo hanno gradualmente relegato i rapporti fra gli uomini,
prima nel solo ambito familiare, poi nell'ambito del sogno.
L'idea prevalente è quella di stare assieme per fare qualcosa,
e non di fare qualcosa per stare assieme. La relazione dipende dall'efficienza
e non viceversa. Il bisogno dell'uomo di stare con altri, di comunicare,
di ascoltare ed essere ascoltato, di interagire, è considerato
dal sistema una debolezza, o almeno un valore improduttivo. Fin
dalla scuola si impostano i comportamenti in questa ottica. Quante
sono infatti le maestre che tengono realmente conto, nel valutare
il bambino, della capacità e disponibilità a collaborare,
dell'interesse per gli altri? Così l'uomo è difeso
nella sua solitudine, incapace di considerare gli altri se non come
nemici, come schiavi o come padroni. E' stata rimossa o repressa
una parte fondamentale dell'uomo, che è la sua apertura,
il suo ottimismo verso gli altri, il suo gusto di parlare e ascoltare,
il suo bisogno di stare con altri uomini senza competere, senza
timore di essere respinto, senza perdere la propria identità.
L'autenticità dei rapporti è inquinata dai ruoli e
dai fantasmi inconsci, al punto che prevale la paura sul desiderio
di relazioni.
L'animazione ha in tutto ciò un compito importante e preciso,
cioè la riscoperta della socialità e il suo sviluppo.
Una presa di cosienza che parte da una riflessione sul sè
e sui bisogni più veri, per arrivare ad autentiche relazioni
interpersonali e di gruppo, fino ad una appartenenza attiva alla
comunità.
L'animazione della socialità dell'individuo prende le mosse
dalla pedagogia attiva e non direttiva, dalla psicologia umanistica,
dalle teorie e dalle pratiche orientali, dalla espressione artistica.
L'animazione dei gruppi si ispira al filone della "dinamica
di gruppo", nelle sue derivazioni sociologiche, psicoanalitiche
e psicosociali. L'animazione della socialità nella comunità
si fonda sulle esperienza dell'actioneresearch, della psicologia
di comunità e dell'analisi istituzionale.
4.3
per quanto riguarda l'espressività possiamo notare che il
nostro sistema culturale privilegia la laettura e la scrittura di
tipo verbale. La parola scritta o parlata è considerata il
mezzo espressivo principe e unico, grazie alla sua sinteticità
ed alla sua maggior oggettività. Tutti gli altri linguaggi
(mimico, gestuale, prossemico, visivo, graficopittorico, manuale,
ecc.) sono stati ridotti nelle riserve degli specialisti, quindi
sottratti all'individuo, perchè contengono eccessive dosi
di soggettività, cioè di qualità. Sono linguaggi
difficilmente massificabili, sottintendono spesso un rapporto emotivo
e sfumature irrazionali. L'individuo ne è stato privato.
La parola, con le sue strutture sintattiche "oggettive",
è considerata linguaggio espressivo legittimo; gli altri
linguaggi sono recintati nell'area del particolare, o della subculture.
Qui l'animazione ha uno spazio illimitato. Essa deve coscientizzare
i soggetti, i gruppi e le comunità delle enormi potenzialità
cui hanno rinunciato; deve far riappropriare gli utenti del maggior
numero di linguaggi espressivi, sia in termini di lettura che di
scrittura. Cioè non solo deve aiutare a leggere i messaggi
visivi, mimici gestuali, ecc.; ma deve anche aiutare a produrre
messaggi secondo codici linguistici diversi.
4.4
Infine la creatività è un aspetto dell'uomo, molto
represso dal nostro sistema. Avendo privilegiato la quantità
sulla qualità, il sistema tende all'omologazione, al conformismo,
all riduzione delle diversità. Il pensiero creativo è
scoraggiato, a volte persino schernito o demonizzato. Al massivo
si concede che esista nella riserva degli "artisti", cioè
di coloro che la società tollera come diversi. Ma l'uomo
medio non può essere creativo; se lo fosse rischierebbe di
uscire dal ruolo di produttore-consumatore. La scuola è programmata,
la fabbrica è organizzata, ora anche il tempo libero è
strutturato: la creatività di massa sarebbe rivoluzionaria.
Sembra che l'ideale imposto dalla società all'individuo medio,
sia quello di vivere, pensare, agire, come qualcun altro. Il valore
centrale è ancora una volta l'initazione, la riproduzione,
la ripetizione per milioni di volte. L'animazione ha qui il compito
di far scoprire all'uomo le dierse possibilità di pensare
e di agire; di far immaginare un diverso mondo possibile; di inventare
i possibili modi per realizzarlo. Si badi bene che la creatività
non viene qui collegata alla fantasia ed al sogno, anche se con
questi essa ha a che fare. Ilproblema è che la fantasia e
sogno sono troppo spesso diffusi in modo consolatorio e surrogatorio
del cambiamento. Creatività, deve essere azione creativa
sul mondo. L'animazione deve aiutare l'uomo nella esplorazione di
nuovi sistemi di pensiero, di comportamento, di valori, ma insieme
deve far scoprire all'uomo le risorse per attuare le sue intuizioni.
5.
Animazione e valori
Di
fronte a questa presentazione dell'animazione, credo trovi una risposta
esauriente anche la domanda circa i valori: se il nostro tempo abbia
distrutto i valori e se l'animazione sia una pratica asettica, disinteressata
ai valori. Anzitutto dobbiamo rifiutare l'ipotesi di chi vede una
diminuzione dei valori della nostra epoca. Semmai esiste: 1) uno
spostamento dei valori dal sistema e dalle organizzazioni agli uomini;
2) una rottura del monolitismo dei valori.
5.1
Fino agli anni '50 circa, le istituzioni, il sistema in generale,
sbandieravano etica, cioè basata sui valori. Questi erano:
la libertà, l'uguaglianza, la democrazia, la scienza, la
carità, la vita umana, la religione e molti altri. Un coacervo
di valori che sostanzialmente ha caratterizzato tutta l'epoca industriale:
valori illuministico-liberali e valori cristiani.
Questo coacervo costituiva la cossiddetta ideologia dominante propria
della classe borghese, e forse di alcuni ceti al suo interno, ma
non di tutta l'umanità sia pur occidentale. Per esempio,
l'aristocrazia era assai più liberale e illuminata che cristiana;
il proletariato assai più cristiano che liberale e illuminista.
Con la prevalenza della borghesia come classe (processo consolidatosi
in tutto il sec. XIX), ha prevalso la sua ideologia che ha, almeno
formalmente, ispirato tutte le istituzioni: dalla scuola, alla fabbrica,
fino agli Stati nazionali.
Aver ispirato (almeno nelle dichiarazioni) tutte le istituzioni
con una ideologia ed aver consenso formale su quella ideologia da
parte di tutti, è stato simultaneo. Questo primo monolitico
quadro di chiarezze venne incrinandosi in particolare con le esperienze
dittatoriali; l'incrinatura continuò gradualmente fino a
scoppiare negli anni '60. La crisi fu determinata dall'analisi,
evidente per tutti, della discrepanza fra dichiarazioni e comportamenti,
sia della istituzioni sia degli individui. Come potevano definirsi
liberali stati totalitari come l'Italia, la Germania, la Russia?
Come definire illuministica la irrazionalità della guerra?
Come definire cristiana la diffusione dei lager; la forsennata competizione
fra Nazioni e fra imprese e fra individui nell'impresa? Come definire
ugualitaria e cristiana una famiglia che negava diritti umani alla
dinna? Come considerare umana una fabbrica che creava morti e feriti
e malati al pari di un'epidemia?
Insomma, la prima grossa "crisi" dei valori consistette,
a mio avviso, in un risveglio dei valori; risveglio paragonato all'aridità
esistente nelle istituzioni. La prima crisi fu (ed è tutt'ora)
all'interno del sistema liberale-illuministico-cristiano: causata
dalla volontà di attuare veramente, nelle istituzioni e negli
uomini, le dichiarazioni di principio. Dal primo dopoguerra ad oggi,
possiamo parlare di una vera diffusione dei valori a livello di
massa. Dalle prime lotte operaie all'ondata esistenzialista, alla
Resistenza; dalla fondazione della Repubblica Italiana al Maggio
Francese; dalle marce per l'integrazione razziale a quelle per il
Vietnam; dall'autunno caldo alla Chiesa del dopo Concilio e del
dissenso; fino al movimento del '78. Che tutto ciò sia condiviso
o meno, non si può negare che nasca da una lotta per i valori.
Di solito per quei valori medesimi, che da in secolo venivano dichiarati
come comuni a tutta la civiltà occidentale.
5.2
Esiste tuttavia anche un'altra direttrice per la lettura della crisi
dei valori. Più o meno dall'inizio del secolo (scoperta dell'inconscio
e Rivoluzione russa) emergono valori diversi, in dichiarata antitesi
con quelli ufficialmente riconosciuti dalla cultura del secolo precedente.
Valori che nella storia del pensiero hanno sempre costituito una
seconda polarità dialettica con quelli illuministico-liberali-cristiani.
Per esempio, i valori del sentimento e dell'irrazionale, quelli
estetici; il valore della comunità; il valore del dissenso;
quello dell'azione. Insomma un altro coacervo che potremmo definire
(assai impropriamente) romantico-comunitario-empirista.
Molte lotte degli ultimi ottanta anni partono dal desideio di modificare,
secondo valori diversi, il mondo. Accettabile o meno che sia questo
desiderio, non possiamo negare che anche esso derivi da una forte
spinta etico-valoriale.
Io credo che in questo secolo, ma ancora più dal '50 in poi,
si sia verificata una diffusione di massa dei valori: o di valori
del secolo precedente, da attuare; o di valori diversi da imporre.
5.3
Un'ultima osservazione. Dal decennio caldo (gli ormai famosi Sessanta)
milioni di persone hanno rifiutato e rifiutano ogni incoerenza fra
presenza e parola, ogni finzione, ogni mediazione farisaica. Credo
che questa sia la maggior prova dell'enorme spinta valoriale del
nostro tempo.
Certo, l'osservatore disermato di oggi, che non riuscisse a compiere
una analisi storica, rischia la confusione e trova difficoltà
a far risalire a valori, alcuni comportamenti. Oggi esiste non solo
un conflitto all'interno del vecchi sistema di valori, fra chi si
accontenta degli enunciati e chi vuole "vivere" immerso
in quei valori; ma anche un conflitto fra chi difende i vecchi valori,
e chi vuole sostituirli con altri. La monolitica piramide che sembrava
esistere almeno fino agli anni '50, si è frantumata in decine
di rivoli. Alcuni chiamano questo "disordine", altri lo
definiscono "crisi di cambiamento", altri ancora lo considerano
un "nuovo ordine".
Se c'è da temere una vera crisi di valori è semmai
negli anni a venire, gli anni Ottanta. Alcuni sintomi odierni di
ritrazione nel particolare, nel quotidiano, nella sopravvivenza
egoistica individuale, possono far balenare il rischio di un arresto
dela speranza, delal fede della Trascendenza (per chi crede) o nella
Storia. Possono far intuire una probabile rinascita di un nuovo
epicureismo spicciolo, o peggio, di una nuova barbarie di tipo medievale.
5.4
E l'animazione? Essa non è portatrice di una sola visione
dei valori possibili, ma al contrario di tutti i valori possibili.
Non ha valori, nel senso che ha tutti i valori. Non ha valori, nel
senso che aiuta gli uomini, i gruppi e le comunità a cercarsene
dei propri. Semmai un valore è l'uomo, da solo e in comunità,
con tutte le sue contraddizioni e le sue verità, la sua dignità
di essere unico, e la sua libertà e coscienza nel decidere
dellapropria esistenza.
6.
Il ruolo dell'animatore
Per
parecchio tempo ci si è interrogati se l'animazione fosse
una professione oppure no. Dopo anni di dibattiti si è arrivati
alla conclusione che l'animazzione può essere uno stile di
lavoro, una professione o una azione di volontariato.
6.1
E' uno stile di lavoro quando riguarda vecchie professioni come
l'insegnante, lo psicologo, l'assistente sociale, l'educatore, l'operatore
culturale. Negli ultimi dieni anni, i ruoli sociali tradizionali
hnno perso un'identità. Anzitutto hanno perso la consueta
funzione di trasmissione dei valori e dei comportamenti dominanti,
dal momento in cui questi ultimi hanno cominciato ad essere messi
in discussione. Inoltre essi hanno perso il ruolo di garanti del
concetto di istruzione, cultura, salute, benessere, normalità,
proprio perchè tutti questi termini sono stati sottoposti
a revisione. L'animazione ha offerto così, a molti operatori
sociali, la strada per interpretare in modo nuovo il loro ruolo.
Invece di continuare a tentare di insegnare, guarire, assistere,
informare, questi operatori si sono proposti di stimolare gli utenti
a rippropriarsi della cultura, della salute, del benessere, sviluppando
il proprio potenziale creativo e produttivo, prendendo coscienza
dei propri bisogni reali e lottando per essi.
6.2
In altri casi, l'animazione è un lavoro volontario. E' impossibile
pensare che tutto l'impegno necessario per la liberazione e lo sviluppo
delle risorse umane, sia professionalizzabile. Molti genitori, operatori
sindacali, uomini di chiesa, studenti, fanno dell'animazione, ponendosi
come "coscientizzatori" volontari. Sul termine di volontariato
esistono molti equivoci. Uno di questi, forse ilpiù negativo,
è che il volontario sia colui che sa fare niente, ma lo fa
con tanta buona volontà! Essere volontario non deve significare
lavorare a livelli inferiori di professionismo, essere spontaneisti
o pressapochisti. Di fronte a questa accusa spesso i volontari dicono
che è meglio lo spontaneismo che niente. Tuttavia il volontariato
è minato da un altro male che occorre conbattere con forza:
l'efficientismo ed il pragmatismo.
Il volontario è sempre di corsa, produce attività
freneticamente, sembra dominato da una ossessione espiatoria, snobba
lo studio e la riflessione; privilegia in fondo anch'egli la quantità
alla qualità. Questa sindrome di tipo "aziendale",
presente non in tutti ma in molti volontari, suscita abbandoni sospetti
circa le motivazioni che sottostanno al volontariato ed al lavoro
sociale in genere.
Per molti il lavoro volontario è una espiazione inconscia
di qualche colpa; per altri una ostentazione di altruismo; per altri
un modo di sentirsi "migliori" dal rapporto con i "peggiori";
per altri infine una occasione per avere rapporti umani, al riparo
di un ruolo formale. E' inutile dire che tutte queste motivazioni
sono molto compromissorie di un serio lavoro di animazione volontaria.
Il lavoro dell'animazione (come quello sociale in genere) deve essere
prima di tutto una realizzazione piena per l'animatore. Quanto più
l'animatore si sentirà felice, realizzato, soddisfatto della
sua scelta, tanto più sarà utile all'utente.
Inoltre l'animazione è qualcosa che va vissuta dal di dentro,
prima con se stessi, e poi con gli altri. Non è più
accettabile alcuna discrepanza fra presenza e parola. L'animatore
che parla di coscienza, di speranza, di lotta deve in prima persona
essere consapevole, progettuale e conflittuale. L'animatore non
può innescare processi di socialità se non è
egli stesso socializzato, cioè capace di vivere da solo,
come in gruppo e in comunità. Lo strumento di lavoro principale
dell'animatore è la sua persona, oggi più che mai.
L'animatore non può che essere prima di tutto animatore di
se stesso.
6.3
Esiste infine una terza area dell'animazione: quella professionale
in senso stretto. Questa area in cui sono animatori retribuiti,
è quella che possiamo definire genericamente "tempo
libero". Essa comprende il turismo, lo sport, la cultura, l'arte,
lo spettacolo, il gioco, la socializzazione e l'educazione permanante.
In questi casi esistono di fatto figure professionali che possiamo
definire animatori, anche se non sempre essi operano nel senso indicato
finora. Esi infatti esistono perchè il tempo libero è
un'industria, che si sforza di ricavare ricchezza, anche attraverso
operatori specializzati. Tuttavia questo non deve far gridare allo
scandalo. Anche gli insegnanti rispondono ad esigenze del sistema
economico, preparando e selezionando forza-lavoro produttiva. Anche
i medici rispondono oggettivamente ad esigenze dell'industria sanitaria
e farmaceutica. Questo non significa che gli insegnanti, i medici,
gli animatori non possono gestire un ruolo diverso, cioè
alternativo a quello richiesto dal sistema.
Ogni ruolo lavorativo della nostra società può avere
una doppia anima: agire contemporaneamente per il sistema (economico,
organizzativo, istituzionale, ecc.) e per l'individuo. Così
come nessun sistema accetta che un suo operatore dovrebbe lavorare
solo per il sistema. La scuola, l'ospedale, l'impresa, come il sistema
del tempo libero, non ammettono che i loro operatori si dedichino
totalmente e solo all'individuo, utente o lavoratore che sia. Essi
esigono molti altri servigi, spesso in contraddizione con l'obiettivo-uomo:
l'obbedienza, l'aumento delprestigio, le buone maniere, la diplomazia,
il conformismo, l'efficienza formale, ecc.
Purtroppo sono numerosi gli operatori che riducono il loro lavoro
a queste sole attività. Molti altri invece mettono una intenzione
precisa nel loro lavoro, una intenzione di cambiamento in favore
dell'uomo e della sua libertà.
Per realizzare queste intenzioni, gli operatori sociali devono "agire
negli interstizi" cioè nelle crepe del sistema, in quegli
spazi in cui le contraddizioni fra esigenze del sistema e bisogni
dell'uomo sono più agibili. Questa aginilità deriva
da molti fattori. Uno di questi è che la forza degli uomini
e la coscienza dei loro bisogni sia alta. Questo è il caso
dell'impresa, in cui i cambiamenti sono possibili quando i lavoratori
hanno più forza della direzione. Un altro fattore di agibilità
potenziale è la debolezza oggettiva del sistema. Questo è
il caso del sistema tempo libero, in cui sono possibili cambiamenti
con sforzi minori.
L'animazione, come pratica sociale, non può non risentire
delle contraddizioni del nostro tempo. Una di queste è la
parcellizzazione. Allo scopo di rendere incisivi i suoi interventi,
l'animazione ha spezzettato l'utenza in segmenti sempre più
ridotti. Esistono divisioni per età (bambini, adolescenti,
adulti, anziani); divisioni per aree (sport, turismo, cultura, espressività,
ecc.) divisioni istituzionali (associazioni, entri, territorio);
infine divisioni per scuole teoriche e metodologiche diverse. In
realtà i soggetti e la coscienza sono per natura unitari,
ed il loro risveglio non può che avvenire in un'ottica unificata.
e' indispensabile una specificità di interventi, ma occorre
che questa sia inserita in un quadro general che tenga conto delle
relazioni. Per esempio, è importante se si opera con adolescenti,
nell'ambito di un quartiere, nell'area del turismo, tener conto
anche delle famiglie e dell'area della socializzazione. Insomma
occorre che l'intervento specifico sia inserito in un contesto,
e che l'animazione attivi, in parte, anche questo contesto. Un'altra
contraddizione è quella del moralismo. L'animazione ha sicuramente
un insieme di valori orientativi, e l'animatore non può non
possedere una visione del mondo e dell'uomo. Tuttavia animazione
non è predicazione, nè proselitismo, nè moralismo.
Spesso invece per non essere neutrale, l'animazione diventa settaria;
per non essere specializzata e divisa, diventa bonario paternalismo.
Coloro che pensano che animare significa tener d'occhio, consigliare,
avviare sulla "buona strada", amarsi cristianamente, darsi
fraterne manate sulle spalle, travisano il senso vero dell'animazione.
Se l'animazione ha dei valori non deve imporli, o peggio "venderli"
con la seduzione, oppure darli per condivisi perchè esiste
un'amicizia. L'animatore deve semmai mettere dei dubbi, sollecitare
a ricercare, invitare ad ascoltare e riflettere. Per quali valori
i soggetti, i gruppi e le comunità sceglieranno, non è
compito dell'animatore decidere.
6.4
Tuttavia è importante che questo processo di presa di coscienza,
sia stimolato con tecniche e metodologie appropriate, e verificato
secondo modalità scientifiche. La buona volontà e
l'entusiasmo sono condizioni necessarie, ma per niente sufficienti,
all'animazione. L'animatore deve essere formato, specializzato e
aggiornato in continuazione. Animatori non si nasce, ma si diventa.
Semmai esistono predisposizioni che accelarono o rallentano la formazione.
Uno dei principali fattori accellerativi è una solida strutturazione
dell'io dell'animatore, derivante da soddisfacenti esperienze di
socializzazione nell'età evolutiva. Poichè non sempre
questa base soddisfacente esiste, e comunque non basta, la formazione
di un animatore deve prevedere un adeguato training di gruppo.
L'addestramento di gruppo è necessario per dare all'animatore
una capacità minima di vivere insieme agli altri, ma anche
una capacità di leggere ed agire le dinamiche dei gruppi
nei quali opera. Ormai tutto il lavoro sociel è svolto in
gruppo.
Il grppo è l'unità di intervento, nel senso che quasi
nessun operatore lavora da solo; sempre più spesso, accanto
all'animatore, c'è lo psicologo, l'insegnante, il prete,
il genirore. L'animatore deve quindi essere capace di lavorare con
altri operatori.
Ma il gruppo è anche l'unità di utenza, nel senso
che l'animatore ha a che fare generalmente con gruppi di giovani,
di bambini, di quartieri, ecc.: egli quindi deve essere capace di
capire ciò che sucede nei gruppi ed intervenire in essi.
Possiamo dire che l'addestramento di gruppo serve all'animatore
per tre obiettivi: 1) il suo sviluppo personale (saper stare in
gruppo); 2) il metodo di lavoro (saper lavorare in gruppo); 3) il
suo ruolo di animaore (saper animare o condurre il gruppo).
Questa è solo una base, alla quale devono aggiungersi conoscenze
teoriche e tecniche, sia generali, sia relative all'ambito di azione.
Infine è importante una formazione metodologica per l'animatore,
che gli consenta di impostare il lavoro in modo che sia efficace,
ma anche in modo che sia verificabile.
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