IV
Conferenza Italiana dellAnimazione |
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CRESPUCOLO
DELL'ANIMAZIONE? di Alberto Raviola
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1973 - 30 anni fa non si
aveva idea di cosa fosse l'Animazione, ma la forza di chi cominciò
a farla fu che nessuno ne aveva una. 2003 - Oggi molti dichiarano
di fare Animazione ma mi viene da domandare (come 30 anni fa) lo
sviluppo della Pratica e l'espansione della Professione, è andata
a pari passo con un'idea, una riflessione teorica e metodologica
sui principi e sul significato del Fare Animazione del XXI secolo?
1955-1965 Il contesto mondiale, ma anche
nazionale e locale:
I Padri: Danilo Dolci nel territorio,
Paulo Freire per la coscientizzazione degli oppressi attraverso
la cultura, il MCE (Movimento di Cooperazione Educativa) nella scuola,
don Lorenzo Milani per la centralità del soggetto senza potere perché
senza parola. Ma anche personaggi del rimosso
politico/sociale/culturale del dopoguerra come ad es. Dossetti e
la sua esperienza dei comitati di quartieri bolognesi (1952) L'intuizione (di AIATEL) che contribuisce
alla nascita della pratica: il TL è cruciale nell'esistenza degli
individui, il tempo e lo spazio del non-lavoro possono essere usati
per migliorare o per peggiorare il tempo e lo spazio del lavoro.
L'Animazione può essere uno strumento
decisivo per dare al tempo di non lavoro una funzione di crescita
invece che di regressione. A differenza di altre pratiche
che si fondano sull'aiuto, la cura, la riabilitazione l'Animazione
predilige fin dalla fondazione,
IL FAR FARE, IL FAR ESPRIMERE E IL FAR DIVERTIRE. 1965-1975 L'Animazione è progressivamente
diventata una Professione. 100 leggi nazionali e regionali menzionano
la figura dell'animatore (cfr. allegato in cartelletta) Migliaia sono coloro che si definiscono
Animatori professionali. Scuole e corsi si sono moltiplicati in
tutto il territorio nazionale. In vista di promuovere la presa
di coscienza, il potenziamento, l'emancipazione, la crescita dei
soggetti emarginati e subalterni alla condizione di cittadinanza
e sovranità, si struttura un METODO che si sostanzia in supporto,
stimolazione, offerta di mezzi culturali e relazionali, a favore
soprattutto di chi non aveva potere sulla vita. L'Animazione occupa uno spazio
nelle pratiche sociali importante e significativo: aiutare le persone,
i gruppi, le comunità a scoprire, valorizzare, espandere, i bisogni
"repressi o rimossi" da un sistema che tendeva a indurre
la scoperta e la valorizzazione di bisogni primari ad libitum. Il
corpo, l'immaginazione, l'espressività, il gioco, le relazioni rappresentavano
ambiti antagonisti alla terza automobile, alla TV a colori, alle
scarpe firmate. 1975 e oltre Lo Stato raccoglie e trasforma
queste istanze (inconsapevolmente oppure per un bisogno di compensazione
delle sue malefatte) finanziando servizi, attività, professionisti,
dell'Animazione (ma anche di tutti gli altri ambiti welfaristici)
per soddisfare i bisogni immateriali. Tutto ciò con il benestare
se non addirittura con la collusione degli Animatori, più o meno
consapevoli che tale magnanimità avrebbe rappresentato la disfatta
del senso professionale. Lo Stato così facendo libera bisogni e
desideri orientandoli ancora nel settore materiale. Tutto ciò accade in un contesto
completamente differente da quello degli albori: alla voglia di
cambiare (individuale e collettiva) si era passati al desiderio
di rimanere immutati e conservare l'esistente. Sono gli anni in cui l'Animazione
diventa pubblica, integrata, funzionale, asservita al committente
che spesso è pubblico o privato convenzionato. E realizza progetti,
attività, iniziative i cui risultati sono di mantenimento dell'esistente
(soggettivo) e di conservazione delle relazioni sociali e collettive.
E nei casi in cui il circuito animatore,
committente/utente funziona accade che -
il committente quando sperimenta il cambiamento si impaurisce
e molla -
l'utente/partecipante viene stigmatizzato come utopista,
rivoluzionario, nostalgico -
l'Animatore diviene la vittima sacrificale dell'intero processo,
cacciato o comprato. Con il risultato che il dilemma
"autonomia o subordinazione" (che ha attraversato la pratica,
fin dall'inizio) viene sciolto dai fatti: la subordinazione vince,
l'autonomia va farsi fottere, la ricerca e la sperimentazione patrimonio
di una minoranza che stringe i denti e muore di fame. Le conseguenze le vediamo oggi
nella invisibilità sociale della pratica, risucchiata nelle pratiche
limitrofe (istruzione, educazione, cura, recupero, intrattenimento)
perché perfettamente adattata agli obiettivi conservativi (se non
repressivi) di chi la promuove, la utilizza, la gestisce. La situazione oggi è che, nel mondo
e nella pratica animativa: -
la centralità del CORPO si è smarrita: emozioni, sentimenti,
intuizioni, sensazioni, sensibilità esperita hanno lasciato il campo
a favore della centralità del voyeurismo e della messa in scena
(mercificazione e oggettivazione); -
viviamo la fine della SOCIALITA' come scambio, influenza,
conflitto, negoziazione per assistere alla predominanza della socialità
da consumo, a tempo determinato, volatile, per censo o per classe;
domandiamoci quanto l'Animazione impiegata prevalentemente in servizi
per target (anziani, minori, giovani, etc.) opera come separatore
piuttosto che come integratore tra utenti e territorio, tra generazioni,
tra culture? -
viviamo la fine del GIOCO come attività libera all'interno
di regole, attività data ma anche da inventare, espressività e gratuità;
mentre è predominante il gioco come evasione, ripetizione, formalità;
domandiamoci quanto l'Animazione sceglie di modellarsi agli stereotipi
ridanciani e effimeri proposti dai modelli televisivi, rinunciando
alla creatività ed alla libertà di inventare e far inventare? -
viviamo la TECNICA come vittoriosa sul SENSO: domandiamoci
quanto la progressiva settorializzazione dell'Animazione (e dell'Animatore
Esperto) secondo le tecniche (pittorica, teatrale, ludica, multimediale,
manuale e via dicendo) sia concausa della sconfitta del senso originario
della pratica come esplorazione dei bisogni repressi e rimossi dei
partecipanti. Non è un caso che (a parte l'industria
dell'Animazione Turistica a cui varrebbe la pena dedicare una conferenza
apposita)) l'Animazione oggi si connota essenzialmente come SOCIALE,
che è un'evidente e subdola tautologia. Infatti non si è
mai vista un'Animazione che non sia sociale e una teoria dell'Animazione
non-sociale o asociale. E proprio in tale definizione si nasconde
l'inganno: Animazione Sociale sta per Animazione Socio-Assistenziale
(pubblica o convenzionata)! Che ha portato con sé una serie
di conseguenze:
L'Animazione è nata per aiutare
le persone ad allargare il potere sulle loro esistenze, mediante
il gioco, la socialità, il ricorso a linguaggi divergenti, la creatività,
la rivalutazione del corpo. L'Animazione è nata per aiutare le persone
e le collettività ad aumentare il potere sulla vita, le relazioni,
il futuro. Oggi sembra essere sostanzialmente
diventata ancella consolatrice alla decadenza di senso individuale
e collettivo, asservita e malamente collusa con un contesto di conservazione
e repressione dell'espressività soggettiva e collettiva. Forse che sia tempo per ricominciare
da dove si era partiti: in ambienti autonomi, semi-volontari, privati,
non finanziati? |